USI COOP PARMA STORY

Parlare di diritti sindacali nel mondo delle coop sociali parmensi di metà anni ’90 era difficile: le tre grandi cooperative del territorio (Proges, Aurora, Domus) risentivano ancora pesantemente della retorica della cooperazione (di per se’ automaticamente nobile, unica, virtuosa), dell’autodefinirsi, ognuna a modo suo, una “grande famiglia” nella quale annullare ogni conflitto, ogni problema, ogni rivendicazione.

Nelle assemblee, nel rapporto uffici-cantieri, dominava questa melassa ideologica totalizzante: chi evidenziava un problema, di qualunque tipo, prima ancora dei provvedimenti formali, incorreva nel biasimo moralisteggiante: aveva tradito la missione fondativa. Nella realtà, però, i provvedimenti repressivi arrivavano comunque: richiami (verbali e scritti), ritorsioni, spostamenti, licenziamenti.

Tutte queste realtà operanti nella cooperazione sociale, ognuna ancora una volta a modo suo, era legata visceralmente ai propri “padri (o madri) fondatori”, figure quasi messianiche, che si erano adoperate per la causa fin dal primo momento, compensando mitologicamente mancanze del sistema, della politica, di sensibilità, di professionalità. Poco importa se alcune di queste figure saranno poi coinvolte in scandali messi a tacere in qualche modo, in accuse di favoritismi parentali o di veri e propri furti ai danni del capitale sociale, o, ancora oggi, saranno intrallazzati con le peggiori figure politiche di un periodo di totale squallore politico-istituzionale. In questo clima, candidare –e, come successe in Domus, vedere eletto, anche se poi gli interventi non furono significativi- un lavoratore di fiducia come Rappresentante alla Sicurezza aziendale, era il massimo a cui si poteva ambire, così come fare da coscienza critica in assemblea soci, a volte in modo solitario e frustrante.

Il tracollo finanziario della Coop. Domus, nel 2000, fu però un vero e proprio sconvolgimento non solo per il quadro fino a quel momento relativamente tranquillo del mondo della grande cooperazione sociale parmense (per le cooperative piccole, le difficoltà economiche si erano già manifestate, e spesso la “soluzione” era venire assorbite dai tre grandi colossi), ma soprattutto per i lavoratori Domus: chi fino a quel momento aveva vissuto nella più completa fiducia rispetto ai vertici aziendali, in modo più o meno servile, vedeva il proprio riferimento assoluto crollare; chi invece (pochissime individualità, come chi scrive, prima considerate come curiosi soggetti un po’ eccentrici e prevenuti ideologicamente) aveva in quegli anni avanzato dubbi sulle “sorti magnifiche e progressive” della coop vedeva adesso –drammaticamente- confermati i propri dubbi. Si parlava di buchi di bilancio, di malversazioni di alcune figure dirigenziali cardine, di legami molto ambigui con certe aree politiche, di favoritismi e clientelismi, di scelte sbagliate grossolanamente.

I primi segnali, a livello provinciale, di dissensi pubblici, prima individuali, poi più estesi, quindi autorganizzati, si manifestarono in questa situazione, a causa (o grazie…) alla crisi in coop. Domus, mentre le altre grandi realtà restavano silenti (e spaventate).

 

In quel contesto, in un clima da otto settembre per tanti ex membri del consiglio di amministrazione Domus improvvisamente trovatisi a tentare di ricostruirsi una credibilità ormai perduta, fu per la prima volta possibile portare all’attenzione delle diverse assemblee dei soci istanze prima inascoltate. Non mancarono resistenze di alcuni soci che, spaventati, vedevano in questi improvvisamente ascoltati agitatori, degli ulteriori pericoli per la propria situazione, non avendo forse ben compreso quanto stava avvenendo: del resto, se non si è mai stati abituati a ragionare con la propria testa…

La prima mossa fu della politica locale: Cooperativa Domus, afferente a ConfCooperative (Leghe bianche) fu di fatto “commissariata” da una grossa (e forte politicamente) coop. di pulizie, la Col.Ser, legata strettamente al fu partito della Margherita, ripetendo l’operazione che precedentemente Legacoop (coop. cd.”rosse”) aveva fatto con l’inglobamento della grande coop. sociale Proges con la multinazionale delle pulizie Pulixcoop. Ogni riferimento dirigenziale, così come ogni quadro intermedio, venne caratterizzato da un accentramento decisionale di Col.Ser: a chi non andava bene, restava la porta.

Ma l’immagine andava salvaguardata: così Lega coop, Conf Cooperative e CGIL CISL UIL si accordarono per indicare un nuovo consiglio d’amministrazione bloccato, con nomi di “fiducia” indicati col manuale Cancelli (uno a te, uno a me, la presidenza a me, ecc).

A scompaginare i piani fu l’allora neocostituito Comitato di Base lavoratori Domus (poi Cobas/USI, quindi USI tout-court) che, grazie alla diffusione di una fanzine aziendale di controinformazione (“Spajot!, che in dialetto significa “Svegliati!”, senza nessun riferimento a sette religiose cristianeggianti), o a seguito di infuocate assemblee con interventi coordinati, intelligenti e –udite, udite!- applauditissimi, riuscirono non solo a installare dubbi su tutta l’operazione che stava avvenendo, ma anche a far saltare il giochino del nuovo CDA. Nonostante i ricatti (personali, occupazionali), nonostante le meschinità, le minacce non più occulte ma ben sì palesi (ah, la CGIL…), il candidato del Comitato Base ottenne un’affermazione plebiscitaria, suscitando parecchi mal di pancia. In questo clima, è riconosciuto da tanti che se il Comitato avesse espresso più candidati, tutti sarebbero stati eletti: ma d’altra parte, tra chi fa un lavoro veramente “di base”, di “leaders” ce ne sono pochi, e questo sia detto nel bene e nel male.

Purtroppo, però, fu subito evidente che la funzione del CDA era solo di apparenza e non sostanziale, e pertanto la mobilitazione non cessò, così come iniziò una riflessione molto seria sul fatto di continuare o no a restare in CDA: da una parte, è vero che si avevano informazioni, dall’altra, però, si era “assimilati” in un percorso senza via d’uscita.

Per tornare alla cronaca: alle dimissioni “obbligate” dal rappresentante del Comitato, disgustato, seguirono altre elezioni del CDA, le due “anime” del Comitato si confrontarono e si ritenne di provare un’altra volta a candidare un proprio esponente. Di nuovo, questi ottenne una valanga di voti, ma di nuovo la funzione del CDA era di mero “collaborazionismo”, e di nuovo il nostro rappresentante si dimise: la strada dell’azione come “soci”, quella “positiva” del “cambiare dall’interno si può”, era stata sperimentata e non aveva portato a niente, meglio era concentrarsi sull’azione tipicamente sindacale…e lì nacque, come conseguenza di una prassi già ben avviata, il passaggio a sezione sindacale aziendale USI: si sarebbero persi “voti” (?) e consensi, ma si sarebbe guadagnato in coerenza e chiarezza.

Nel frattempo, sempre più palese fu l’atteggiamento vessatorio dei vertici nominalmente Domus ma in realtà Col.Ser, verso i rappresentanti più popolari dell’opposizione interna, che, di fatto, subirono ritorsioni pesanti.

Il gruppo più battagliero di questi lavoratori autorganizzati era operante nel settore disabili, caratterizzato, rispetto all’area anziani- predominante in coop.- ed all’area educativa – atomizzata in attività pressoché (ma non esclusivamente) individuali-, da figure professionali più giovani e consapevoli dei propri diritti, spesso con un dignitoso livello di formazione professionale e che a volte si frequentavano anche esternamente al contesto lavorativo.

In quest’area, il settore più radicale e radicato era costituito dai gruppi appartamento per disabili, cinque piccole realtà nate nei primi anni ’80 dopo la chiusura dei centri psichiatrici, per un totale di una ventina di lavoratori. In questi gruppi lavoravano quelle figure-guida del fu Comitato di Base, che avevano quindi creato un tessuto compatto coi propri colleghi.

I gruppi appartamento nel 2005 furono messi in appalto dal Comune di Parma, e la gara fu vinta, con grande scorno delle centrali coop di Parma e dei sindacati confederali, da un’ATI (Associazione Temporanea d’Impresa) composta dalla Coop. Dolce di Bologna (capofila) e da Codess di Venezia (in realtà, molto defilata). Già nei mesi precedenti, i lavoratori dei gruppi firmatisi come USI avevano pubblicamente espresso timori circa il loro futuro con comunicati stampa.

La prima mossa fatta dalla sezione USI, ad appalto assegnato, fu di costituirsi come RSA aziendale, sfruttando il fatto che laddove non esistono RSU, si possono ancora costituire, con pieni diritti, realtà sindacali aziendali. Successivamente, vennero presi contatti con le coop. subentranti per tutelare alcune situazioni e avanzare altre richieste. Resta memorabile il primo incontro per definire il passaggio alle nuove coop: presenti vertici delle coop, due delegati USI, la rappresentante CISL e quella CGIL che, già membra del CDA di Proges, esordì sostenendo che la presenza USI era illegittima “perché non firmatari di contratto nazionale”; sorridendo, il delegato USI tirò fuori dalla tasca un foglio firmato da tutti e venti i lavoratori dei gruppi che esprimevano non solo la propria adesione sindacale ad USI, ma che USI stessa era la sola realtà che li rappresentava, e rispose con un eloquente: “ Io rappresento questi colleghi, e tu chi rappresenti?”.

Nei primi anni di Coop. Dolce (poi la situazione cambiò sensibilmente) USI ottenne buoni risultati, ma ricordarli tutti è impossibile [si vedano, a questo proposito, i vari doc. consultabili sul sito, nda]: tra questi, però, si può menzionare, oltre alla controinformazione continua su ogni avvenimento di carattere “nazionale” come i rinnovi dei CCNL e i fondi-truffa pensione,ecc.: l’erogazione ERT 2004 (senza averne noi diritto); l’aumento di varie indennità interne; l’inquadramento di tutti gli operatori al livello minimo del 5°; l’indennità notturna portata a 22 euro (quasi raddoppiando quanto prevedeva il contratto); la decisa mobilitazione per il superamento del famigerato Salario Medio Convenzionale (n.b. a Parma, nessun lavoratore di coop. aveva ancora mai ottenuto questo risultato); ecc.

Era un periodo bello e stimolante, contrassegnato da tante assemblee (retribuite, of course…), partecipazione, risultati. Senz’altro l’atteggiamento di Coop. Dolce, interessata a consolidare la sua presenza a Parma (ma anche caratterizzata dall’intelligenza del presidente di Dolce, va riconosciuto) favorì l’accoglimento di molte richieste, ma è fuori discussione che la radicalità e la compattezza di USI in un contesto come quello di Parma, nel quale i lavoratori Coop letteralmente languivano, fu l’aspetto determinante.

Nel 2009 il servizio fu nuovamente appaltato dal Comune (quattro cooperative in cinque anni…): i padroni del vapore locale non potevano permettere che una coop. esterna si insediasse in città.

Dopo una gara con molte, troppe anomalie (denunciate pubblicamente da USI, e ancora a Parma non erano scoppiati gli scandali legati all’amministrazione comunale, sennò, chissà….) la gara fu vinta dal colosso Pro.Ges.

L’impatto, sindacalmente e lavorativamente, fu durissimo: Proges, abituata a forme di sindacalismo collaterali come quella esistente con CGIL, a fatica provò ad interagire con USI, e un risultato fu che in pochi mesi, alcuni operatori “storici” dei gruppi, per vari motivi, cambiarono lavoro, e anche la compattezza interna ne uscì spezzata, con casi individuali in vero alquanto penosi.

Sul piano strettamente professionale, il modello Proges era (ed è) fortemente gerarchico e verticale, molto aziendalistico, e questo creò parecchie situazioni di vero e proprio conflitto tra figure operanti negli uffici e lavoratori in struttura. L’impatto fu pesantissimo: due concezioni del lavoro, e, direi, di vita, si scontrarono. Attualmente, Proges ha in parte attenuato la propria rigidità, resasi conto che non sarebbe MAI riuscita a omologare operatori esperti e consapevoli, ma è anche vero che, sindacalmente parlando, non vi è quel sano clima di lotta di un tempo.

In questo contesto “pacificato”, comunque, significativa fu la mobilitazione per ripristinare l’indennità di soggiorno che USI aveva ottenuto negli anni precedenti, e che CGIL, prima ancora di Proges stessa, ha ritenuto di non ritenere valida, privilegiando suoi accordi territoriali, per altro scadutissimi, che prevedevano importi minori. Dopo una serie di presidi davanti agli uffici dei Servizi Sociali, dopo la minaccia di blocco dei soggiorni, Proges alla fine ha accettato di rivedere le cifre, presentando però il fatto come decisione di CDA e non di lotta sindacale, ma tant’è…

Un’ulteriore azione per denunciare la mensilizzazione (provvedimento deciso in combutta con CGIL, che di fatto limita o, in alcuni casi, fa sparire i vantaggi dell’indennità di lavoro supplementare –vitale per i part time- e straordinario) non ha ottenuto grandi riscontri, se non, a livello di cronaca, per un tentativo di aggressione operato dall’allora segretario provinciale CGIL Bartoletti e da altri 4/5 figuri, che hanno cercato vanamente di picchiare un gruppo di usisti che davanti alla sede di CGIL, volantinava a colleghe dei servizi educativi.

Comunque, USI in coop. c’è ancora, contatti sono stati presi anche altrove, presto i gruppi appartamento torneranno in appalto e…la lotta riprenderà!

 

Uno che c’era, c’è e – si augura – ci sarà