Una cosa è certa in questi tempi di crisi sanitaria ed economica: la scuola, l’educazione, i bambini e i ragazzi, le famiglie, gli insegnanti e gli educatori non sono una priorità per il governo.
Ad oggi ci sono almeno 40.000 studenti mai raggiunti dalla didattica a distanza, con una media di 2 persone per classe. Ancora una volta la scuola di stato è classista e ineguale, ma in un contesto come questo risulta ancora più evidente.
Anche per coloro che sono stati raggiunti da questa “rivoluzione telematica”, però, la situazione non è omogenea. Si pensi alle famiglie con strumenti culturali o linguistici che non sempre permettono di aiutare e sostenere i ragazzi nell’apprendimento o ai nuclei con più figli, tutti chiamati all’appello della didattica a distanza. Cambiando l’ordine delle cose, insomma, il risultato rimane il medesimo: la forbice dell’ineguaglianza si apre sempre di più.
Senza dimenticare che i fortunati, quelli che possiedono strumenti culturali e digitali, si ritrovano comunque a gestire una situazione di fronte a cui è fin troppo semplice ritrovarsi emotivamente disarmati. In uno scenario fragile, in cui il corpo della paura ha sostituito la presenza di chi ci stava accanto, la scuola è stata presa e replicata uguale a se stessa.
La sfera emotiva dei piccoli (e dei grandi) è stata delegata al buon cuore del singolo che ogni giorno fa del proprio meglio per dar loro una voce.
Le difficoltà di un approccio a distanza, dunque, non sono solo riconducibili alle diverse situazioni economiche, per niente secondarie, ma anche al fatto che non vi è distinzione di necessità dovute alle differenze, alle difficoltà individuali o alle fasce d’età (i bambini dagli 0 ai 6 anni non esistono più, avete notato?).
Quali obiettivi vengono raggiunti in questo modo? Se per educazione intendiamo l’insegnamento all’obbedienza, il muto assenso di fronte a divieti e prescrizioni – spesso in contraddizione fra loro – il delegare ad una tecnologia la responsabilità del patto educativo e l’abituare i ragazzi alle , seppur velate, minacce (“nessun 6 politico, chi è carente può essere bocciato”), allora l’obiettivo è raggiunto. Ma se l’educazione è relazione, mettersi in ascolto, comprendere insieme, fare rete, avere cura, allora siamo ben lontani.
E quindi? Il governo per il futuro delinea linee guida poco chiare, la cui attuazione porterebbe al persistere di difficoltà già elencate, ma qualcosa da cui ripartire c’è. Forse bisognerebbe smettere di agognare un ritorno alla normalità. Forse questa è l’occasione per costruire una “normalità” nuova. Se senza relazione non c’è l’apprendimento, allora apriamo le porte delle aule: le classi e sezioni che raggiungono fino a 30 bambini sono sempre state una criticità per chi voleva perseguire una buona educazione.
È chiaro che, soprattutto nei momenti più intensi di una pandemia, la relazione ravvicinata non ci può essere, ma la scuola non può interrompersi, serrarsi con la chiusura delle porte. La scuola è il luogo dove l’apprendimento prende forma. Ma chi dice che il luogo sia una forma definita e concreta fatta di pareti e porte? Se “luogo” è potuto divenire lo spazio virtuale, allora perché non anche “spazi altri”? Certo, richiede un investimento di tempo e risorse. Un pensiero di comunità. Tuttavia, se tanto tempo e fatica sono stati impiegati , ad esempio, per il settore economico, perché quello educativo dovrebbe essere da meno?
Sicuramente il bambino non è un soggetto economico, quindi è difficile inserirlo nella lista delle emergenze prioritarie. E, anzi, molto spesso l’educazione si riduce a trasformare in soggetti di consumo. Ma forse il momento è propizio per pensare davvero a bambini e ragazzi come soggetti di cura. Anzichè trasportare i metodi scolastici (che già presentavano le loro incrinature) senza tener conto del cambiamento del contesto, ci si potrebbe domandare cosa si intende per contesto.
Un “contesto” può avere luogo anche nella relazione fra due persone. Lo spazio che si crea fra chi si prende cura e chi la riceve è, esso stesso, contesto educante. Tenendo sempre in considerazione che la relazione di cura è – sempre – intrisa di reciprocità.
Davanti all’ incapacità della politica di fornire risposte, dettate anche da logiche autoritarie, occorre riscoprire nuove forme di educazione che partano dai ragazzi, dagli insegnanti, dai genitori in un percorso collaborativo e solidale gestito collettivamente per costruire un’altra scuola.